Quando si può parlare di legittimazione poetica di un testo? Quando l’Autore riesce ad assicurare al suo lavoro quel tanto di vitalità della significazione che è necessaria e indispensabile per dare un senso al proprio sforzo creativo. Un senso che non sia arbitrario o preconfezionato ma, al contrario, autentico, vivo e sentito.
E questo scopo Francesco Terrone lo raggiunge ampiamente attraverso il carattere forte e circostanziato dei suoi principali nuclei metaforici, attorno ai quali con destrezza sa far ruotare i suoi sentimenti, grazie a sensibilissime antenne che captano anche i minimi segnali in grado di fargli attraversare gli angusti confini della percezione.
Quali questi nuclei metaforici? L’amore, che nel suo lessico diventa “cultura dell’amore”, amore come “fantasma senza volto”, amore “forse un filo di seta che attraversa l’aria di un mondo senza pace”. E poi, la notte e il buio, amati e odiati, regni della solitudine, della paura e del tormento ma anche spazi per essere liberi di volare “di vivere le proprie emozioni”.
E Francesco Terrone raggiunge livelli davvero alti quando lascia libera di fluttuare la sua fantasia creativa, come nella bella lirica dove dice: “ogni lacrima è simile a una nave che esce da un porto di relitti di guerra”. O, ancora, nell’altra, intitolata “Canto del cigno”, dove con pochi, delicati tocchi, rievoca l’atmosfera lunare e visionaria di un circo equestre, dove lui “sembra un clown”.
Altro tema forte quello della donna, quasi sempre sublimata, trascendente, pensata e desiderata, donna “nata per donare sorrisi/per donare morte”. Il mistero della donna penetra con forza in lui: “mi manca il respiro della tua vicinanza/un miscuglio di sapienza e arte”; “godo del tuo camminare leggero”; “ho sete di toccare il tuo corpo/scolpirlo, farlo mio”.
E, infine, la poesia. Qui Francesco Terrone si confessa. “Amo la poesia perché mi fa esistere/mi fa parlare con la mia anima”. La lotta con i suoi pensieri, ora “granelli di sabbia”, ora “simili a moscerini”, e le parole deputate a veicolarli da coltivare e curare con attenzione: “giardini di parole”, “ricamate con filo d’oro”. Frasi potenti vengono rilasciate con forza apodittica inaspettata: “le vere storie non si raccontano mai”, oppure “tutto sembra faticosamente vero”, mentre lui, con vorace inquietudine, continua la sua faticosa ricerca di senso.
La poesia di Terrone non è una poesia descrittiva. Va detto. E’ poesia di riflessione, grazie alle suggestioni che è in grado di recuperare attraverso la sacralità del mondo della natura e diventa per il Poeta un approdo appagante. Dal punto di vista ritmico e musicale si assiste a sonorità marcate, in certi momenti quasi declamatorie, anche se il discorso poetico resta sempre reattivo e non perde mai la naturalezza del dire.