Andy Warhol: la pubblicità della forma alla Fabbrica del Vapore

Dal 22 ottobre al 26 marzo 2023 alla Fabbrica del Vapore si può visitare la mostra dedicata alle opere di Andy Warhol. E’ merito di Eugenio Falcioni, collezionista e responsabile di Art Motors, se è possibile vedere oltre 300 lavori, opere uniche, alcune provenienti dall’Estate Andy Warhol e collezioni private dell’artista americano.

Dai disegni degli anni 50 alle icone Liz, Jackie, Marilyn, Mao, Flowers, Mick Jagger ai ritratti ed ai suoi progetti personali come il fashion – dichiara Falcioni – sono presenti tele, carte, sete, latte con le famose ed uniche Polaroid, per arrivare agli acetati unici che fanno parte della seconda fase del suo lavoro altrettanto importante”.

Tra le opere particolarmente interessanti la serie delle Drag Queen, risalenti agli anni 70, e in seguito, meno conosciute, le opere che riguardano la sua relazione con il sacro. In mostra, si potranno ammirare oltre a tele, serigrafie su seta, cotone e carta, anche disegni, foto, dischi originali, t-shirt, ecc. e anche un film multimediale da vedere con gli occhiali tridimensionali.

Chi è un po’ prevenuto nei confronti del consumismo può avere una reazione contraddittoria di fronte all’opera di Andy Warhol.

In genere, Warhol non è certo visto come un critico del consumismo o della cultura dei media, lo si interpreta piuttosto come una figura ottimista e celebrativa: la sua rappresentazione di lattine di zuppa Campbell, di bottiglie di Coca-Cola, di Marilyn Monroe e di Elvis Presley rappresentano un tributo alla nostra “civiltà”. Nel bene e nel male.

Qualche critico ha detto: “L’arte di Andy Warhol non è presentata come una cosa elitaria o grandiosa… Vedi Marilyn Monroe e sai esattamente chi è… Puoi immaginare che dietro di essa ci sia una teoria , una interpretazione oppure semplicemente apprezzarla per quello che è… ” Quindi, viene da chiedersi allora: come considerare i suoi lavori: arte o essi stessi dei meri prodotti?

Possiamo concordare sul fatto che Warhol ha reso l’arte accessibile un po’ a tutti, rendendola facile da capire. D’altra parte, l’artista è uno dei rappresentanti più importanti della cultura americana, che ha saputo lavorare sul fascino intrinseco dell’immagine. Forse, Warhol aveva capito davvero il potere della merce ed era così sedotto da questo potere tanto da piegarsi a diventare lui stesso merce all’interno di quella cultura pop capitalistica.

Il critico Achille Bonito Oliva su questa linea ritiene che Warhol sia il Raffaello della società di massa americana, capace di rendere fruibile – che vuol dire pronta al consumo – la sua arte, trasfigurandola, dando dignità alla neutralità delle immagini, alla loro riproducibilità e ripetitività, anche perché la macchina fotografica lavora sull’evidenza, non trasmette pathos, si limita a documentare.

E Warhol è talmente convinto di questo che sostiene: “Ogni cosa ripete se stessa. È stupefacente che tutti siano convinti che ogni cosa sia nuova, quando in realtà altro non è se non una ripetizione”.

Qui è facile cadere nel ricordo di una affermazione di Walter Benjamin che a proposito di Warhol in pratica sosteneva che “l’opera d’arte contemporanea abbia smarrito la propria “aura” sotto il peso di una tecnica che la riproduce all’infinito, privandola di quell’intrinseca unicità su cui si basa l’esperienza estetica dello spettatore”.

Ma, seguendo le tracce di Benjamin, sarebbe azzardato dire, come faceva lui, che “l’arte può essere strumentalizzata in una forma di comunicazione non razionale per coinvolgere e massificare la folla”. Infatti, se l’arte si pone l’obiettivo di cambiare direttamente la vita quotidiana delle persone influenzandone il comportamento, tale influenza può esercitarsi tanto in direzione progressista quanto in ottica reazionaria.

Quindi, tornando alle opere di Warhol, liberi da un certo pregiudizio ideologico, possiamo affermare che esse rappresentano in pieno il vero volto dell’America post bellica che, superato il periodo dell’avanguardia, costituita dall’espressionismo astratto – per fare qualche nome Pollock, De Kooning e Rothko – va dritta verso la meccanizzazione dei processi produttivi e il gesto dell’artista, per quanto libero e ispirato, viene sostituito dalla tecnica, dalla stampa serigrafica, e da precise regole grafiche che solo il principio del design può garantire.

Vogliamo capire la filosofia profonda di Warhol? Basta leggere un’intervista da lui rilasciata in cui sostiene: “Se c’è una cosa grandiosa dell’America è che qui è iniziata la tradizione in base alla quale i più ricchi consumatori comprano essenzialmente le stesse cose dei più poveri. Tu guardi la tv e vedi la Coca-Cola, e sai che il Presidente beve la Coca-Cola, Liz Taylor beve la Coca-Cola e puoi pensare che anche tu bevi Coca-Cola. Una Coca-Cola è una Coca-Cola e non esiste nessuna somma di denaro che possa garantirti di bere una Coca-Cola migliore di quella che sta bevendo un barbone all’angolo della strada. Tutte le Coca-Cola sono le stesse e tutte le Coca-Cola sono buone. Liz Taylor lo sa, il Presidente lo sa, il barbone lo sa, e lo sai anche tu”.

Per lui la Coca-Cola (si noti come ne ripete ossessivamente e pubblicitariamente il nome) in qualche modo sembrerebbe quasi rappresentare l’essenza più vera della democrazia americana. Sono perplesso. Forse questo è anche il motivo per cui io non la bevo mai…

La mostra è suddivisa in varie aree tematiche:

  • GLI ANNI ’50: l’esordio e l’arte pubblicitaria;
  • Il COMMENTATORE SOCIALE: con le sezioni Icone, Fama e Successo e Disastri;
  • PORTRAIT OF THE SOCIETY: tra emarginazione e celebrità;
  • WARHOL E LA MUSICA con le sezioni relative all’amicizia con Mick Jagger e i Rolling Stones;
  • WARHOL E LA MODA;
  • IL SACRO E IL PROFANO;
  • L’ULTIMO DECENNIO e il rapporto con il sacro.

In supporto alla mostra è stato pubblicato da Silvana Editoriale il volume “Andy Warhol La pubblicità della Forma – The Advertising of the Form”, a cura di Achille Bonito Oliva ed Edoardo Falcioni, 240 pagine per 200 illustrazioni, edizione bilingue italiano/inglese, 38 €.

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